L'unico vero grande insormontabile problema che ciascuno di noi ha, è quello della propria morte.
Molti famosi pensatori hanno tentato di farci credere che in realtà sia un falso problema poiché "tutto ciò che ha un inizio ha anche una fine" e che "in qualità di esseri viventi è nostro dovere morire" o che "la morte è un fatto naturale della vita" e via discorrendo.
Avrebbero anche ragione se non fosse per il fatto che, pur appartenendo al regno animale, a differenza di tutti gli altri esseri viventi, noi abbiamo coscienza di noi stessi.
Io sono io e non sono te, così come tu sei tu e non sei me: io lo so e so che anche tu lo sai.
Cioè noi non siamo dei semplici animali facenti parte della catena alimentare di qualche altro animale e quindi all'interno del ciclo della vita delle specie su questo pianeta.
Noi, grazie all'autocoscienza, ci siamo tirati fuori da questo ciclo: noi non serviamo alla natura, siamo anzi estranei ad essa, praticamente degli intrusi.
Questo fatto, che io considero un'anomalia, ci pone nella difficile posizione di dover trovare un senso alla nostra vita.
Certo non è essenziale farlo: molta gente semplicemente vive, pensa a cosa cucinerà per cena e a cosa dovrà fare domani, ci mancherebbe.
Il problema di questo approccio è che, anche se non ci vogliamo pensare, prima o poi verremo posti di fronte al fatto che i nostri giorni sono contati, sempre che non siamo morti prima in modo violento e inaspettato, e che di conseguenza la nostra vita stia per finire.
Se avremo vissuto come degli animali potremo trovarci impreparati e pieni di terrore nel momento in cui guarderemo in faccia la morte.
Ma se tutti ci fermassimo un attimo e realizzassimo che ciò che ci attende è il nulla eterno forse, e dico forse, potrebbe venirci il dubbio di chiederci: "ma io, cosa vivo a fare?"
Il fatto che un evento, come la nostra morte, sia ineludibile non ne riduce l'importanza e anche far finta che non esiste o evitare di parlarne non cambia la realtà.
Alla fine un essere umano può accettare qualsiasi cosa, anche la propria morte, ma sarebbe molto meglio se si riuscisse a scoprire una verità oggettiva che renda il tutto meno tragico.
Sarebbe bello trovare una piccola speranza, una spiegazione, una logica che soddisfi la nostra sete di senso in questo mondo apparentemente assurdo.
La parte ironica di tutto ciò è che anche i credenti, nonostante dicano di credere nella vita eterna, posti di fronte alla singolarità della morte hanno paura come e più degli altri.
"Perché?", mi domando. Ripetono ogni domenica che credono nella resurrezione dei morti e nella vita eterna, ma quando sentono l'avvicinarsi della morte ecco che tremano come degli agnellini.
In realtà so perché fanno così: anche se non lo ammetteranno mai, sentono anche loro che la morte è la fine di tutto. Lo sentono istintivamente, come tutti e non importa quante preghiere reciteranno, il fatto che nessuno sia mai tornato dalla morte a raccontarci com'è "dall'altra parte" è un fatto difficilmente superabile.
E non è un caso se il momento più importante della religione cristiana sia la resurrezione di Cristo e la promessa della vita eterna. Della serie "ok, moriremo ma la nostra anima andrà in paradiso e vivremo in eterno". Beate le menti semplici che non si fanno domande!
Molti invece dicono: "Io non ho paura della morte, ho paura di soffrire". Cari, sappiate che esiste la morfina e tutta la classe farmacologica degli analgesici che vengono impiegati efficacemente per ridurre il dolore. Perché invece non siete sinceri, con voi stessi in primis, e non ammettete anche voi che ciò che giustamente vi spaventa è l'ignoto che la morte porta con sé?
Io non voglio illudermi in nessun modo, voglio guardare in faccia la realtà per quello che è e non per quello che mi piacerebbe che fosse e sono convinto che se tutti facessimo così forse ci sarebbe qualcuno più sveglio degli altri in grado di trovare la chiave per comprendere l'assurdità della vita.
La realtà è ciò che resta quando smetti di crederci
Philip K. Dick