Giunto ai quarant'anni mi sono accorto, con mi grande stupore, di non essere più un ragazzo.
Questo fatto, che ti sembrerà scontato, mi ha fatto capire una cosa: il mio corpo invecchia e si vede chiaramente, ma non la mia mente. Ovvero dentro la mia testa sono presenti fatti che mi sembrano capitati ieri e invece sono capitati vent'anni fa.
Detto in altri termini se io non avessi specchi in casa, non saprei che sono invecchiato e che continuo a invecchiare.
Probabilmente col passare del tempo comincerebbero a insorgere degli acciacchi e allora forse me ne accorgerei anche senza guardare i capelli che diventano bianchi, ma per il momento non noto grandi differenze rispetto a quando ero un ragazzo.
Questo fatto, apparentemente di poco conto, mi ha fatto realizzare che la mia mente, e molto probabilmente anche la mente di chiunque altro, non "invecchia". Trovo riscontro in ciò anche dal fatto che i neuroni, a differenza delle cellule degli altri organi del nostro corpo, sostanzialmente non vengono rimpiazzati.
Capisci bene che questa situazione diventa problematica nel momento in cui realizziamo che il nostro tempo è limitato.
Non so tu, ma io vorrei vivere in eterno anche perché, da ateo, non credo in una vita dopo la morte.
Sarei felice di sbagliarmi, ma la realtà che mi circonda mi suggerisce ogni giorno che l'ipotesi più probabile è che questa sia l'unica vita che abbiamo e che non esista "un dopo" la morte esattamente come non è esistito "un prima" della nascita.
Certo, quando morirò qualcuno dirà "Lorenzo è morto", ma io non lo saprò esattamente come quando sono nato qualcuno avrà detto "Lorenzo è nato", ma io non lo sapevo.
Un caro amico di famiglia un giorno mi fece un discorso che più o meno suonava così: "siccome non possiamo sperimentare un prima della nascita e un dopo la morte, dal nostro punto di vista siamo sempre nell'essere" suggerendo che la vita sia un qualcosa che, per noi, sarà sempre e che quindi, di fatto, così come non abbiamo vissuto la nostra nascita non vivremo la nostra morte.
Quest'idea apparentemente risolutiva ha però un problema: il tempo scorre in un solo verso ovvero dal passato al futuro. Il mio Io di adesso non è più il mio Io di cinque minuti fa e non sarà il mio Io dei prossimi cinque. In altri termini il passato non esiste più, mentre il futuro non esiste ancora e non è possibile invertire il senso di marcia, per così dire. Quindi la cosa che immagino più probabile è che il mio Io arriverà fino all'istante prima di morire e poi, sporgendosi sul baratro cadrà e verrà inghiottito dall'abisso e non sarà più.
Tenendo presente tale premessa è chiaro che la morte diventa per me un grande problema. Cioè dal mio punto di vista, se in fondo a tutto c'è il nulla eterno, che io viva un anno, dieci anni o cento anni non fa alcuna differenza.
Mi spiego meglio: il nostro Io, la nostra mente, è il frutto dell'attività del nostro cervello il quale elabora segnali provenienti dall'esterno attraverso una fitta rete di neuroni e nel fare ciò consuma energia. Sappiamo altre due cose: che i neuroni, come detto poc'anzi, non vengono rimpiazzati e che il cervello non si "spegne" mai per tutta la durata della nostra vita, nemmeno quando andiamo a dormire, nemmeno quando andiamo in coma. Diversamente verrebbe decretata la nostra morte cerebrale con le conseguenze del caso ovvero saremmo, di fatto, morti.
In pratica il nostro Io è il prodotto di un "computer" biologico (il nostro cervello) che consuma energia per processare delle informazioni ed esistiamo fintanto che questo computer non viene spento. Nel momento in cui ciò dovesse avvenire il nostro Io si dissolverebbe esattamente come i bit contenuti nella memoria volatile di un computer quando lo si spegne.
Ho verificato che è così anche in modo diretto: una persona a me cara ha vissuto un evento simile a un ictus che gli ha causato dei danni cerebrali permanenti. Ebbene questa persona è ancora viva, ma non è più quella che era prima dell'incidente ovvero il suo Io, la sua anima qualcuno direbbe, si è già in parte dissolto.
Da questi fatti appare evidente che non può esistere una mente senza un corpo, così come non può esistere un software senza un hardware che lo faccia girare.
Se quindi, alla fine del viaggio, ci aspetta un non-essere eterno è chiaro che dal nostro punto di vista, un istante dopo la nostra morte, sarà come non essere mai esistiti.
Quello di cui sto parlando è la nostra non-esistenza, cosa difficilissima se non impossibile da immaginare poiché, dal nostro punto di vista, noi siamo sempre esistiti e quindi come sarebbe la nostra non-esistenza?
La cosa più vicina a questo stato che sono riuscito ad immaginare è come l'anestesia generale: sei in sala operatoria pronto per l'intervento, chiudi gli occhi e quando li riapri sei nel tuo letto d'ospedale. Dal tuo punto di vista è come se ti fossi addormentato e risvegliato subito dopo, quando invece in mezzo c'è stato un tempo di cui non hai coscienza. Ebbene io credo che la morte sia come un'anestesia generale senza risveglio. Chiudi gli occhi e non li riaprirai mai più.
Se così è, come sospetto, la domanda è: che senso ha vivere se poi comunque finirà tutto risucchiato nel buco nero del non-essere?
Il motivo quindi per cui ho creato questo spazio sul web è duplice: da un lato sento il bisogno di mettere nero su bianco questi pensieri che per me sono diventati una sorta di piccola ossessione e in secondo luogo condividendoli ho la speranza che qualcuno, passando di qua e leggendo ciò che ho scritto mi dica: "Lorenzo, non è così per questo e quel motivo..."
Come noterai infatti, in fondo ad ogni pagina c'è un pulsante che ti permette di scrivermi una mail. Se ritieni che io sbagli sull'argomento non esitare a farmelo sapere, te ne sarò eternamente grato. Ti avviso però che prenderò in considerazione solo argomentazioni ragionevoli, che seguano la logica, che non siano sofismi o giochi di parole e che soprattutto non richiedano un atto di fede.
Perché io dovrei avere fede nella fede degli altri?
Antonius Block
